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LA SCIENZA AL TEMPO DEI SOCIAL MEDIA: LA MIA IDEA SULLA DIVULGAZIONE MEDICA

giovedì 28 aprile 2011


Siamo nel bel mezzo di una rivoluzione, tanto silenziosa quanto efficace, che sta rapidamente cambiando il nostro modo di accedere alle informazioni. Il cambiamento non è ancora completo, e tutte le conseguenze non sono ancora chiare. A mio parere la comunità scientifica e le istituzioni sanitarie in particolare sono in difficoltà di fronte a questi cambiamenti, vorrebbero cavalcare la rivoluzione, senza però esserne travolti.

In passato gli scienziati avrebbero elaborato il problema in tutt’altro modo: avrebbero comninciato a parlare tra di loro attraverso riviste e convegni, e solo quando le idee scientifiche avessero raggiunto una certa soglia di “maturità” avrebbero aperto il sipario ai media e al pubblico per invitarli a prendere appunti. Ma oggi ci sono i social media, e sempre più invadono la privacy anche della scienza, permettendo al pubblico di sbirciare dietro le quinte. 
Un esempio di cosa può accadere quando le osservazioni degli scienziati vengono divulgate in maniera errata e manipolatoria al pubblico è ciò che accadde nel 2009 con il cosiddetto “Climategate”
lo scandalo che investì la Climate Research Unit dell’Università dell’East Anglia, a Norwich, Inghilterra. Sembra non vi fosse alcun illecito reale, le emails crearono uno scandalo che colpì la fiducia del pubblico nella scienza dei cambiamenti climatici. Più recentemente un memorandum interno tra gli scienziati che lavorano al Large Hadron Collider (LHC) – il grande acceleratore di particelle del CERN di Ginevra – è trapelato, portando voci secondo cui il bosone di Higgs era stato scoperto. Ma questa non era che una preliminare interpretazione dei dati, che dovevano ancora essere verificati. 

Oltre alla comunicazione dei risultati scientifici ancora acerbi e che quindi non dovrebbe essere divulgati al grande pubblico, vi è anche il problema di decidere le priorità di ricerca. Tradizionalmente queste scelte vengono prese in consessi scientifici con scienziati ed esperti a valutare con attenzione la fondatezza le proposte di ricerca. Quello a cui si assiste ora, tuttavia, è un pubblico che parteggia sempre più per il pieno accesso alle informazioni e per partecipare a una conversazione a due attraverso i social media.
La gente non vuole solo leggere articoli ma vuole essere in grado di esprimere le proprie osservazioni. Non vuole solo ascoltare il dibattito scientifico, vuole partecipare a tale dibattito.
L’effetto dei social media nell’influenzare le priorità della ricerca è ormai acclarato anche in Italia. Un esempio riguarda il Prof. Zamboni, chirurgo vascolare dell’Università di Ferrara, che, insieme al Dott. Fabrizio Salvi dell’Università di Bologna, indica che la malformazione nota come “insufficienza venosa cerebro-spinale cronica” (CCSVI) potrebbe contribuire ai danni del sistema nervoso centrale nella sclerosi multipla. Ecco, in Canada l’opinione pubblica soprattutto i malati e i familiari dei malati colpiti da sclerosi multipla hanno creato un’enorme pressione sul governo e sulla comunità scientifica affinchè fossero condotte sperimentazioni cliniche di questa procedura in pazienti con SM. Ma la metodica del Prof. Zamboni ha prodotto un dilemma nella comunità scientifica: da un lato, la procedura di disostruzione delle vene si basa su prove molto preliminari e rappresenta una idea nuova e radicale, che non è supportata dalla scienza di base. Questo non riguarda solo l'uso efficiente delle risorse per la ricerca clinica, ma anche l’etica della ricerca. Prima che la ricerca venga effettuata su esseri umani, abbiamo l'obbligo morale di fare in modo che sia più probabile l’utilità che il danno, e che il trattamento sia vantaggioso rispetto al rischio e alla fatica della ricerca. 
Tuttavia il genio è stato ormai liberato dalla lampada. La comunità dei malati di sclerosi multipla non vuole attendere la ricerca di base, i malati vogliono giocare tutte le loro carte, anche con la procedura di Zamboni, in particolare quelli con SM progressiva e resistente al trattamento. Inoltre, la procedura è sempre disponibile nelle cliniche di tutto il mondo perché si effettuava già da tempo, per cui alcuni pazienti stanno perseguendo il trattamento nonostante l'assenza di ricerca formale.
Che cosa, dunque, dovrebbe fare la comunità medica per proteggere i pazienti disperati dalle loro stessa disperazione?
Chi dovrebbe controllare le priorità della ricerca, gli scienziati o il pubblico? Nonostante quello che qualcuno potrebbe pensare, i vecchi tempi sono andati per sempre. Nel bene o nel male, il pubblico ha ora un posto in prima fila e vuole partecipare al processo. In passato la partecipazione pubblica è stata indiretta, attraverso i rappresentanti eletti, che potevano stabilire le priorità di finanziamento, ma ora non è più sufficiente.
Il medico e la struttura scientifica deve riconoscere la realtà attuale. Si può combattere contro di essa, o la si può abbracciare. 
Secondo me scienziati e medici dovrebbero impegnarsi con i mezzi di comunicazione sociale e con il pubblico attraverso questi nuove “piazze sociali”. Gli scienziati sono abituati ad avere le loro conversazioni con il loro linguaggio, e questo è ancora di vitale importanza. Ma in aggiunta hanno bisogno di essere coinvolti nella conversazione pubblica e non solo elargire piccoli bocconi, hanno bisogno di sporcarsi le mani e pienamente con il pubblico.
C'è bisogno di meccanismi con cui il pubblico possa partecipare al processo di decisione delle priorità di ricerca. Ma questa voce pubblica dovrà essere ancora temperata dall’esperienza dei professionisti che hanno dedicato la loro vita per comprendere e studiare i problemi. Questo potrebbe evitare il caotico clamore che si scatena ogni volta che il pubblico viene a conoscenza di una notizia tirata fuori da un “insider”.
Inoltre maggiore partecipazione del pubblico significa anche che il pubblico ha bisogno di essere più colto. L’analfabetismo scientifico in Italia è un problema molto serio e questo ci riporta alla necessità di scienziati e medici che parlino il “linguaggio della gente” per coinvolgere il pubblico con i social media e altri mezzi come blogs, forum, al fine di educare il pubblico su come la scienza e la medicina lavorino, e perché noi medici arriviamo a determinate conclusioni. I fatti sono un buon antidoto alle voci.

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